L’Eneide è il poema epico a carattere celebrativo della civiltà latino/romana, scritto dal poeta Publio Virgilio Marone, chenacque ad Andes, presso Mantova, il 15 ottobre del 70 a.C., così come lo sono i poemi dell’Iliade e dell’Odissea, scritti da Omero per la civiltà greca.
Inizialmente fu Gaio Cilnio Mecenate, influente consigliere dell’imperatore Augusto a suggerire a Virgilio di scrivere le Georgiche tra il 36 e 29 a.C., che trattano dei lavori agricoli nell’alternarsi delle stagioni e subito dopo iniziò a lavorare alla storia di Enea fino al 19 a.C., anno della sua morte, con lo scopo di esaltare le origini di Roma e della stessa famiglia di Ottaviano Augusto. L’Eneide fu prima redatto in prosa e successivamente in versi. In punto di morte, Virgilio ordinò che il suo capolavoro, l’Eneide, venisse bruciato, perché lo considerava incompiuto. La sua disposizione però non fu rispettata ed Augusto fece curare immediatamente l’edizione del poema.
In essa si narra che dopo che Troia è distrutta, Enea mette in salvo suo padre Anchise e il figlio Iulo oppure Ascanio e con pochi superstiti inizia le sue peregrinazioni alla ricerca della nuova patria a lui destinata dal Fato. Dopo un lungo peregrinare e varie vicissitudini nell’area del mediterraneo arriva a Cuma, vicino Napoli, dove Enea consulta la Sibilla che lo guida negli inferi. Qui l’ombra del padre Anchise già morto gli svela la missione assegnatagli dal Fato, ossia dare origine alla stirpe romana, che dominerà il mondo. Anchise gli mostra anche i suoi discendenti, come Romolo ed i membri della gens Iulia, dell’imperatore Cesare Augusto. Questo è lo scopo della narrazione nell’opera.
Enea arriva a sud delle foci del Tevere ed ottiene ospitalità da Latino, il re di Laurento, città situata sulla via Laurentina a 10 miglia romane dal centro della futura Roma, che gli promette in sposa la figlia Lavinia, ma che dalla madre Amata era stata già promessa come sposa a Turno, re dei Rutuli, popolo stanziato sulle coste del Lazio con centro Ardea. Per cui scoppia la guerra tra Turno ed i rispettivi alleati ed i Troiani, arrivati nel Lazio per creare una loro colonia. Al progetto si oppongono i Volsci. Però la causa vera della guerra sembra sia dovuta all’uccisione di Almone giovane addetto alla corte del re Latino, durante una rissa scoppiata tra Latini e Troiani.
Si susseguono duelli, episodi eroici, interventi delle divinità romane. Turno è ucciso da Enea nel duello finale. La pace torna nel Lazio con il matrimonio tra Enea e Lavinia. Da Enea e Lavinia discenderà Romolo, futuro fondatore di Roma.
Al capitolo XI dell’Eneide è scritto:
Avrem Camilla,
la gran volsca virago,
che n’addusse di cavalieri e di caterve armate
sí bella gente.
Di fatto tra gli alleati di Turno contro Enea, il poeta Virgilio nella guerra Latina (Libri VII-XII) pone la vergine guerriera Camilla, regina dei Volsci, una popolazione di indole bellicosa, che viveva di pastorizia e agricoltura nell’appennino centrale, fin quando non arrivò nell’area molto ricca di minerali del ferro e del rame del Lazio storico circostante i monti Lepini ed Ausoni, ove si insediarono nel quinto secolo A.C.. I Volsci in un primo periodo si espansero nella valle del Sacco e poi a sud verso Cassino e ad ovest in tutto il territorio della valle del fiume Amaseno, nell’agro pontino e sulle propaggini meridionali dei Colli Albani, fino alle attuali Velletri ed Anzio.
Le gesta di Camilla vengono narrate nel libro XI dell’Eneide, come figlia di Casmilla e di Metabo, tiranno di Privernum, che era una città dei Volsci, posta nella piana tra i Monti Lepini, i Monti Seiani ed i Monti Ausoni, alla destra del mitico fiume Amaseno. Privernum era punto di passaggio tra la città volsca di nome Frusna, poi romana come Frùsino, oraFrosinone ed l’altra città volsca di nome Anxur, poi romana in Terracina e verso la pianura pontina, che poi sarà attraversata dalla Via Appia, detta Regina Viarum e lunga 650 km, iniziata nel 312 a. C. per il volere del censore, Appio Claudio il Cieco della Gens Claudia, i cui lavori si protrassero fino al 190 a.C.; essa è la più famosa strada romana di cui siano rimasti i resti, nonché la prima strada costruita secondo criteri moderni, tanto da permettere il suo utilizzo anche in inverno.
Metabo nel fuggire, perché cacciato da Privernum, la sua città, essendo la moglie Casmilla già morta, scappa e sfugge agli inseguitori varie volte, ma l’ultima volta portando con se la piccola figlia Camilla in fasce va verso i monti che sono oltre il fiume Amaseno, per mettere tra se e gli inseguitori un ostacolo naturale; ma si trova davanti le acque del detto fiume ingrossato dalla piena, per cui legata la piccola Camilla nella parte superiore della sua lancia, posta tra due cortecce di sughero, la getta oltre il fiume, poi si tuffa in acqua, passa all’altra riva e fugge sui monti vicini.
Ora sorge la domanda per conoscere quali sono i Monti oltre il fiume Amaseno, sui quali nella più breve via di fuga si era diretto Metabo con la piccola Camilla. Sicuramente la fuga non era verso le propaggini dei Monti Lepini, dove sono gli attuali paesi di Maenza e Roccagorga, neppure i Monti Seiani dietro l’attuale Priverno, perché sono tutti alla destra del fiume Amaseno, ossia dalla parte della città di Privernum dalla quale fuggiva; neppure poteva aggirare il fiume Amaseno andando verso le sue sorgenti distanti 14 km. Per cui la fuga di Metabo con la piccola Camilla, oltre il detto fiume, non poteva che essere verso i Monti Ausoni, le cui pendici sono a circa 200 metri dal fiume, nell’attuale zona dei Casini, sotto Roccasecca dei Volsci. Detti monti spaziano da Roccasecca dei Volsci, posta sull’ultima loro propaggine nord, verso Amaseno, Sonnino e Terracina, fino alla piana di Fondi, ora zona del Parco Naturale Regionale. Da fare notare che da Roccasecca dei Volsci vi è una visuale a giro d’orizzonte, per cui si vede chi tenta di salire, favorendo la difesa dall’alto e la fuga verso i monti posti nel retroterra. La detta zona dava sicurezza al fuggiasco, come l’ha data ai briganti nel 1700 – 1800 ed a chi scappava dalle retate effettuate dai soldati tedeschi nei paesi durante la seconda guerra mondiale. Una via d’uscita dai detto monti poteva essere anche verso Sonnino a sud ed Amaseno a nord, il quale si raggiunge facilmente dalla piana della Lucerna.
Di fatto Virgilio parlando di Metabo e della figlia Camilla che hanno passato anni sui detti monti, scrive:
Il tempo tutto de la sua vita, di pastore in guisa, menò per monti solitari ed ermi; e per grotte e per dumi e per orrende selve e tane di fere ebbe ricetto con la fanciulla, a cui fu cibo un tempo ferino latte, e balia una d’armento ancor non doma e pavida giumenta.
Nella detta zona montana, che deve essere stata per centinaia di anni sotto la giurisdizione di Privernum, città prima volsca e dopo romana, poiché dietro Monte Curio (605 mt), che sovrasta Roccasecca dei Volsci (376 mt), vi è un lungo percorso montano che porta a Monte Alto (821 m.), dove dopo l’anno mille fu costruito il Monastero di San Salvatore da Mileto, ora vi sono i ruderi; di esso si fa menzione per la prima volta in una pergamena del 1028 nella quale Leone ed Ildicio, consoli di Priverno, offrono all’abate Amico beni per la costruzione di un monastero in località Mileto. In particolare viene menzionato come “grancia” del Monastero di Fossanova. La costruzione del nuovo monastero fu opera dei Benedettini, ma San Salvatore come monastero ebbe poca vita, ossia prima del 1224 venne soppresso ed affidato al clero secolare.
Quindi sul costone montano si va verso sud, alle Serre (711 m.), con visuale sia a nord verso la Valle dell’Amaseno che a sud sull’Abazia di Fossanova e sulla Pianura Pontina; da questo costone ora si alzano in cielo gli arditi del parapendio per ammirare il panorama librati in alto; continuando ancora verso sud nel detto sentiero montano si raggiunge Monte San Biagio a 18 km di distanza.
Detto percorso è stato battuto a piedi per generazioni dagli abitanti dei vari paesi, specie di Roccasecca dei Volsci, nel pellegrinaggio annuale verso il Santuario della Madonna della Civita, che è sopra Itri e verso il Santuario della Ss. Trinità alla Montagna Spaccata di Gaeta, eretto nel XI secolo sulla fenditura di una roccia con vista mare, ora posto all’interno di un parco urbano. Il quadro della Madonna della Civita, alla quale si attribuiscono nei secoli miracoli e guarigioni, anche da pestilenze, venne portato in loco nel VIII secolo dalla zona di Costantinopoli da alcuni monaci basiliani fuggiti per la persecuzione iconoclasta, ossia per la distruzione di immagini sacre; venne ritrovato sul monte Civita, presso Itri, da un pastore sordo e muto che era alla ricerca di una sua bestia smarrita. Guardando il quadro egli riacquistò l’udito e la parola e corse lieto in paese ad Itri a dare la notizia del quadro miracoloso trovato su un leccio. Il quadro della Madonna della Civita, durante la seconda guerra mondiale fu salvato, in un momento cruciale da possibili sottrazioni come bottino di guerra, da don Livio Borgese rettore del santuario, che conoscendo la devozione dei cittadini dei vari paesi limitrofi, lo portò “in pellegrinaggio”, ossia come per una visita di ritorno della Madonna verso tutti i paesi dove risiedevano i suoi devoti, per cui giunse anche a Roccasecca dei Volsci, dove fu esposto nella chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo e posto alla devozione dei paesani dal parroco don Roberto Galterio. Anch’io ero presente. Successivamente il quado fu riportato nel suo santuario.
I folti boschi dei detti monti sono stati ricettacolo, covo, asilo e rifugio dei briganti dal 1700 fino all’inizio del regno d’Italia. Tutta la zona per generazioni è stata utilizzata per il pascolo brado degli animali, ossia cavalli, mucche, pecore, capre e porci; ora anche cinghiali. Alle falde di Monte Curio, nella zona di Roccasecca dei Volsci vi è una fessura con acqua sorgiva, l’Acqua Viva e sotto monte Alto vi è la piana della Lucerna, zona fertile con acqua sorgiva e lungo la strada vi sono cisterne, per cui deve essere stata già abitata dal tempo antico ed anche da popolazioni romanizzate, dato che vi sono ruderi di “opus reticulatum” in zona.
Quindi Metabo e la piccola figlia Camilla devono avere abitato in qualche grotta naturale o capanna e soggiornato indisturbati nella detta zona montana. Altre zone sicure non ci sono nei dintorni. Nel racconto leggendario dell’Eneide si narra che dopo la salvezza raggiunta, la piccola è consacrata dal padre Metabo alla dea Diana. La bambina cresce con il padre nei boschi montani, come detto sicuramente dell’attuale zona montana di Roccasecca dei Volsci, abitata anche da pastori accoglienti, tra animali selvaggi, nutrita di latte di cavalle selvagge. Camilla non ha i soliti giocattoli delle bambine, ma appena cresciuta da muoversi in modo indipendente, il padre Metabo le fa dono di arco e di frecce e le insegna ad usarli, quindi da ragazza impara ad usare anche il giavellotto e la fionda; i suoi vestiti sono ricavati dalle pelli degli animali. Camilla crescendo sembra provare amore solo per le armi avendo giurato verginità eterna, come la dea alla quale il padre l’aveva affidata quando era ancora bambina.
La ragazza ha un fisico perfetto d’atleta, veloce nella corsa da superare il vento, ma al tempo stesso diventa una donna di grande bellezza. La sua fama si diffonde ed i Volsci, affascinati, le chiedono di diventare la loro regina. Camilla accetta e rientra sicuramente nella sua Privernum senza ostacoli, diventando la Regina del popolo dei Volsci. Quindi Virgilio inserisce Camilla tra i valorosi condottieri forse realmente esistiti come Enea e la colloca, in maniera precisa, come vergine guerriera dei Volsci, regina di Privernum, figlia di Metabo, per cui questo lascia effettivamente pensare che un personaggio con quelle doti e caratteristiche nell’antichità sia realmente esistito nel nostro territorio. Pertanto l’attuale Priverno si può vantare di aver dato i natali ad un’eroina mitica ed i monti di Amaseno, Roccasecca dei Volsci, Sonnino e Monte San Biagio di averla ospitata nel loro territorio montano nella fanciullezza e fino all’età adulta. E’ un mito, ma in ogni mito vi è sempre un sia pur minimo fondo storico.
Nella Guerra Latina, nella quale i Rutuli contrastano Enea, Camilla soccorre Turno, il re di Ardea, ed è posta alla testa della cavalleria dei Volsci e di uno stuolo di fanti. La sua figura incute spavento, data la sua baldanza senza pari. Di fatto Camilla guida una schiera di cavalieri Volsci e un’armata di fanti con armature di bronzo; vi sono anche donne guerriere, tra cui la sua fedele Acca. Camilla è abituata a sopportare fin da ragazza i duri scontri ed è esperta nelle arti guerriere. Nell’andare in aiuto di Turno la ammirano le madri e tutta la gioventù riversata dalle case e dai campi, mentre avanza in corteo alla testa della sua schiera con un regale mantello che le vela le spalle, un diadema d’oro che le orna la chioma bruna, portando con disinvoltura la faretra licia e, come pastorale, un’asta di mirto, sormontata da una punta.
Turno, pur ammirando il coraggio di Camilla, decide che la sua alleata affronti solo la pericolosa cavalleria tirrenica, riservando per sé il compito di contrastare e battere Enea.
Gli atti di valore di Camilla non si contano: fa strage di nemici, si lancia in ogni mischia, insegue e colpisce a morte ogni avversario che vede, affronta ogni pericolo. Solo non si accorge del giovane etrusco Arunte che la segue nella battaglia per cercare di sorprenderla. Camilla crea lo scompiglio nei pur forti Etruschi e mette in fuga le schiere nemiche al punto che deve intervenire il re etrusco Tarconte per fermare i suoi ormai in rotta. Arunte coglie l’occasione, dato che l’eroina, avida di ricca preda, scorge il frigio Cloreo, che in patria era sacerdote di Cibele; questi sfoggia un’ armatura completa abbagliante di oro e porpora, coperto da un mantello corto e leggero ornato d’oro color giallo mentre scaglia frecce dalle retrovie col suo arco cretese. Camilla si mette al suo inseguimento e dimentica tutto il resto. Allora il giovane etrusco Arunte, non visto dall’eroina, le scaglia contro una freccia che Apollo guida e che la ferisce a morte, trafiggendola al seno. Accorrono le sue compagne per soccorrerla: Camilla si strappa la freccia, ma la punta resta incastrata tra le costole. Camilla si sente venir meno, cade e affida ad Acca, la sua compagna più fedele, un ultimo messaggio per informare Turno. Alla morte di Camilla, Arunte timoroso cerca di fuggire, ma sarà ucciso da una freccia di Opi, ninfa del seguito di Diana, per volere della dea stessa.
La morte della vergine Camilla è il preludio della sconfitta dei Rutuli e degli italici tutti che si erano stanziati in questa parte d’Italia. Quindi Enea si insedia nel territorio latino e da inizio alla futura epopea romana, che è durata dal 753 a.C. al 476 d. C. in occidente e al 1453 in oriente, senza contare che Roma, ora cristiana, vi sarà fino alla fine del mondo.
Sorge a questo punto una domanda spontanea per tutti noi: Camilla sarà stato un personaggio vero o inventato da Virgilio? Certamente la vergine Camilla può essere considerata un personaggio storico nell’Eneide, in quanto il quadro storico in cui vengono ambientate le sue gesta si collega a quello omerico dell’Iliade e dell’Odissea XIII-XII sec. a.C.; nel contempo la città di Privernum risale almeno quattro secoli prima di Roma, quindi al XII secolo a.C. e storicamente nota già come un potente centro volsco nel IV secolo a.C., che venne poi sottomessa da Roma e completamente distrutta nel 329 a.C., poi ricostruita, diventando di fatto una città romana.
Comunque Camilla può essere considerata come un personaggio mitologico da ammirare, anche perché cantato da diversi poeti e scrittori in diverse epoche storiche; oltre a Virgilio e Dante ha ispirato molti altri autori, anche nei nostri tempi moderni.
Redatto da Carlo Tasciotti – Dicembre 2020
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